Non è un periodo semplice. L’isolamento, l’incertezza per il futuro, le precauzioni basterebbero di per sé a confondere la popolazione. A ciò si aggiunga la vasta, copiosa e reiterata produzione normativa legata all’emergenza ed affidata a strumenti vari e diversi come il DPCM o il decreto legge.
In questo breve articolo affrontiamo i risvolti sul versante penalistico delle violazioni delle norme previste per il contenimento del contagio. Per semplificare è necessario specificare che l’ultimo intervento sul punto è il decreto legge approvato dal Consiglio dei Ministri il 24 marzo 2020, pubblicato l’indomani in Gazzetta Ufficiale e recante il n. 19.
Un primo spunto di riflessione. L’art. 4 del suddetto decreto prevede le sanzioni per chi violi i protocolli (uscite senza giustificato motivo, stazionamento in parchi o luoghi pubblici, assembramenti, ecc.) e ne definisce la natura “amministrativa” nonché l’importo, molto elevato, che va da 400,00 € a 3.000,00 €. E’ un cambio di rotta rispetto ai precedenti interventi dell’Esecutivo che in un primo momento aveva individuato la rilevanza penale di queste condotte ed ora, al comma 8 dell’art. 4 citato, prevede l’applicazione retroattiva della sanzione amministrativa.
E’ un cambio di passo importante dettato da esigenze sociali e di opportunità ben evidenti. Stante il grande numero di trasgressori, infatti, alla fine dell’emergenza da Coronavirus i Tribunali si sarebbero trovati ad affrontarne un’altra: quella da sovraccarico di lavoro (come se non fossero già abbastanza onerati). Lavoro, giova aggiungere, fondamentalmente inutile: l’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale, principio costituzionale, avrebbe portato all’apertura di fascicoli nati già archiviati, di fatto. Si pensi ad un caso potenzialmente molto comune: un cittadino viene fermato e controllato dalle forze dell’ordine e, per giustificarsi, dichiara che si sta recando a fare la spesa, pur non essendo vero. Non sarò un problema per lui, dopo il controllo, recarsi presso un supermercato, attendere la fila, comprare uno o due articoli e conservare uno scontrino che rappresenterà la sua salvezza in futuro.
Ma v’è di più: il risvolto sociale. Il Governo, anche per accaparrarsi i favori dell’opinione pubblica, non ha alcun interesse a caricare la sofferenza dei cittadini, già molto provati, del peso di un procedimento penale, mai piacevole.
Il versante penalistico è stato quindi escluso? No, a ben vedere. L’art. 4 in commento si apre con una clausola di salvaguardia (“Salvo che il fatto costituisca reato”) ed inoltre vengono citati gli artt. 605, 452 c.p. e 206, comma 1, regio decreto 27 luglio 2934, n. 1265.
Procediamo con ordine.
Quali reati possono verificarsi in tempo di epidemia? O meglio, quali reati sono strettamente connessi con l’emergenza? Oltre ai riferimenti normativi appena citati aggiungiamo, per completezza, l’art. 438 c.p. rubricato “Epidemia”, secondo cui: “Chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l’ergastolo”. La semplice lettura dell’articolo è spaventosa, ma è bene sedare subito le preoccupazioni: la fattispecie incriminatrice è di tipo doloso, ovviamente, e pertanto la diffusione di questi germi patogeni deve essere voluta dal soggetto agente. Si tratta di un reato di evento di danno e di pericolo, ciò significa che non è sufficiente l’aver messo in pericolo la popolazione bensì è necessario anche aver causato danni tangibili, contagi tangibili. In buona sostanza si tratta di uno scenario da escludere per le persone comuni.
Ben più rilevante è la fattispecie descritta dall’art. 452 c.p., “Delitti colposi contro la salute pubblica”: “chiunque commette, per colpa, alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 438 e 439 c.p. è punito: […] 2) con la reclusione da uno a cinque anni, nei casi per i quali esse stabiliscono l’ergastolo”.
Si tratta della versione colposa del delitto analizzato in precedenza, vale a dire ciò che può succedere più comunemente in questo periodo. L’esempio che viene in mente, non suffragato da orientamenti giurisprudenziali dato il carattere eccezionale di quanto sta accadendo, può essere quello del soggetto positivo al Covid-19 che, pur sapendolo, esce in strada confidando sull’impossibilità di contagiare altri soggetti perché nel rispetto della distanza di sicurezza. E’ un caso purtroppo non del tutto fantasioso, visto l’incredibile numero di persone positive individuate in strada e prontamente denunciate. Non è un caso che l’art. 4 del d.l. n. 19/2020 in commento, al comma 6, citi espressamente l’art. 452 c.p. con clausola di sussidiarietà. Si tratta di un reato grave che prevede una pena detentiva molto afflittiva, da uno a cinque anni di reclusione.
Salvo che il fatto costituisca violazione dell’art. 452 c.p., però, viene in rilievo la fattispecie meno grave prevista dal Testo Unico delle leggi sanitarie (regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265) all’art. 260, comma 1: “Chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo è punito con l’arresto fino a sei mesi e con l’ammenda da lire 400.000 a lire 800.000. Se il fatto è commesso da persona che esercita una professione o un’arte sanitaria la pena è aumentata”. Opportunamente, l’art. 4, comma 7, del d.l. n. 19/2020 ha aggiornato il dato monetario, prevedendo che l’ammenda vada da 500,00 € a 5.000,00 € ma ha anche aumentato la forbice edittale dell’arresto, portato ad un minimo di 3 mesi e ad un massimo di 18 mesi. Si badi bene, arresto e ammenda non sono alternativi ma cumulativi, pertanto è escluso in questo caso il beneficio dell’oblazione.
Concludendo si può affermare che l’ultimo intervento del Governo nell’ambito delle sanzioni legate al mancato rispetto delle condotte da tenere in questo periodo emergenziale ha un’evidente impronta deflattiva dell’utilizzo del diritto penale. Come premesso, infatti, le condotte ritenute inizialmente penalmente rilevanti sono ridotte ad esiti sanzionatori di tipo amministrativo, seppur molto oneroso. Residua però uno spazio di applicazione per fattispecie di tipo penalistico: se da un lato si deve escludere la ricorrenza dei presupposti dell’art. 438 c.p. nelle condotte di chi in questi giorni si sta macchiando delle violazioni in parola, di certo non si possono escludere a priori gli artt. 452 c.p. e 260, comma 1, del TU leggi sanitarie.
In buona sostanza, anche per quanto riguarda il diritto penale e le conseguenze possibili, il consiglio è sempre lo stesso: #restateacasa!
Avv. Andrea Severini