In una recentissima sentenza, datata 6 luglio 2020, la n. 22049/2020, la Suprema Corte ha ritenuto integrato il reato di sostituzione di persona nel caso in cui sia creato un profilo falso su Facebook con l’utilizzo dell’immagine di una persona del tutto inconsapevole.
Il fatto da cui origina la sentenza, che conferma le condanne emesse dal Tribunale e dalla Corte di Appello di Messina, è legato alla condotta di chi, creando falsi profili su Facebook, ha offeso la reputazione del soggetto passivo caricando altresì foto caricaturali dello stesso e inviando insulti tramite messaggi. I reati contestati sono quelli previsti dagli artt. 595 c.p. (diffamazione) e 494 c.p. (sostituzione di persona).
Il tema dei social network e della loro portata offensiva è tristemente attuale. L’uso indiscriminato di questi mezzi di comunicazione, oltre ad essere moralmente deleterio, è anche capace di generare una responsabilità penale di non poco conto.
Nel recente passato la Cassazione si era già espressa sulla configurabilità del delitto di diffamazione aggravata nel caso in cui sia diffuso un messaggio, appunto, diffamatorio tramite la bacheca di Facebook, poichè “la condotta in tal modo realizzata è potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato, o comunque quantitativamente apprezzabile, di persone” (così Cass., Sez. V, n. 4873 del 14/11/2016).
Venendo invece alla novità di questa sentenza, cioè la creazione del profilo “fake” tramite l’utilizzo di immagini di persona del tutto inconsapevole, la Suprema Corte precisa che tale condotta integra il reato di sostituzione di persona: ciò perchè l’agire del soggetto attivo è idoneo a rappresentare un’identità digitale non corrispondente al reale utilizzatore. Vi è anche un precedente interessante (Cass., Sez. V, n. 25774 del 23/04/2014): “integra il delitto di sostituzione di persona (art. 494 c.p.) la condotta di colui che crea ed utilizza un profilo su social network, utilizzando abusivamente l’immagine di una persona del tutto inconsapevole, associata ad un nickname di fantasia ed a caratteristiche personali negative, e la descrizione di un profilo poco lusinghiero sul social network evidenzia sia il fine di vantaggio, consistente nell’agevolazione delle comunicazioni e degli scambi contenuti in rete, sia il fine di danno per il terzo, di cui è abusivamente utilizzata l’immagine“.
A nulla vale il fatto che, nel caso di specie, si sia utilizzata un’immagine caricaturale della persona offesa poichè, sostengono i giudici di legittimità nella sentenza in commento, è sufficiente “per la tipicità del delitto di cui all’art. 494 c.p., la illegittima sostituzione della propria all’altrui persona, mediante creazione ed utilizzo di un falso profilo facebook“.
La Cassazione ha inoltre confermato quanto deciso nei gradi precedenti circa la non applicabilità al caso di specie dell’art. 131 bis c.p.: la condotta criminosa è durata più di un mese e sono stati creati numerosi profili al solo scopo di arrecare danno alla persona offesa. Manca, quindi, il profilo della particolare tenuità del fatto.
Come anticipato, il tema è molto attuale. I social network sono erroneamente ritenuti una zona franca, dove poter dare sfogo al proprio lato peggiore, alla rabbia, alla violenza verbale, all’incitamento all’odio. Non è così. La Suprema Corte dimostra che questi mezzi, da un certo punto di vista utili e divulgativi, devono essere utilizzati cum grano salis e tenendo sempre ben presente che la responsabilità penale e l’offensività delle condotte sono ben presenti anche in tale ambito.
Avv. Andrea Severini