Con l’ordinanza n. 2259/2024, la Suprema Corte di Cassazione esamina la questione inerente al diritto al mantenimento, nei confronti del genitore non collocatario, del figlio maggiorenne che, già trentenne, sia laureato e in procinto di diventare avvocato.

Il Tribunale di Messina, in esito ad un ricorso presentato dal genitore Tizio, annullava l’obbligo di questi di versare all’ex coniuge Mevia – tra l’altro – il contributo per il mantenimento della figlia Caia. A fondamento di tale pronuncia, il Giudice adito sottendeva non solo l’età di Caia – già trentenne – ma soprattutto gli approdi professionali della stessa, la quale aveva conseguito la laurea in giurisprudenza ed era in procinto di ottenere l’abilitazione per esercitare la professione d’avvocato.

La Corte d’Appello di Messina – per quanto qui rileva – respingeva il reclamo interposto da Mevia contro la decisione di prime cure del Tribunale. In particolare, il Giudice del gravame sosteneva che non poteva più reputarsi necessario il contributo di mantenimento per un figlio “ultra-maggiorenne”, con laurea in giurisprudenza, in prospettiva della oramai raggiunta autosufficienza economica.

Mevia ha presentato un ricorso in Cassazione, censurando la decisone della Corte d’Appello

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di Mevia, siccome manifestamente infondato. In particolare, la Suprema Corte, confermando i principi statuiti dalla Corte d’Appello, ha ribadito che: 1) il giudice di merito deve verificare la sussistenza della non autosufficienza economica del beneficiario, e bilanciarla con i doveri di auto-responsabilità dello stesso figlio; 2) la tutela deve essere calibrata in base alle peculiarità del caso concreto, rispettando il principio della proporzionalità; 3) il contenuto e la durata dell’obbligo di mantenimento devono essere stabiliti prendendo in considerazione l’età del beneficiario, ed assicurandosi che l’obbligo non si prolunghi oltre limiti ragionevoli; 4) l’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento rimane, comunque, a carico del richiedente, vertendo esso sulla circostanza di avere il figlio curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale/tecnica o di essersi, con pari impegno, attivato nella ricerca di un lavoro.

Di conseguenza, ove il figlio sia neomaggiorenne e prosegua nell’ordinario percorso di studi superiori/universitari/di specializzazione, tale circostanza appare idonea a fondare la persistenza del diritto al mantenimento. Viceversa, per il figlio “ultra-maggiorenne”, in ragione del principio dell’auto-responsabilità, l’onere della prova incombente sul presunto beneficiario del mantenimento sarà particolarmente rigorosa, dovendosi fornire la prova di circostanze, oggettive ed esterne, che rendano giustificato il mancato conseguimento di un’autonoma collocazione lavorativa.

 

Avv. Francesco Tassini