Nella prima parte abbiamo analizzato la natura dei DPCM e la catena di quelli emessi dal Governo per far fronte all’emergenza sanitaria in corso.

Ora l’analisi deve spostarsi sulla tenuta costituzionale di questa produzione normativa che è senza dubbio singolare e legata alla contingenza.

Prendiamo le mosse dall’intervista rilasciata al Corriere della Sera dalla Presidente della Corte Costituzionale Marta Cartabia che, nel rispetto del suo ruolo istituzionale e del principio di separazione dei poteri, ha fornito due linee guida imprescindibili. In primo luogo, la Costituzione non prevede strumenti ad hoc per fronteggiare questo genere di situazioni; l’art. 78 Cost. disciplina lo stato di guerra ed il conferimento al Governo dei poteri necessari, ma non è certamente questo il caso. Grazie alla preparazione ed alla lungimiranza dei padri costituenti, però, la nostra carta fondamentale ha dei meccanismi per cui si aggiorna da sola, in base alle diverse e più moderne esigenze. La prova lampante è l’art. 2 Cost., che enuncia i diritti fondamentali dell’individuo senza catalogarli, ponendosi come clausola aperta e pronta a ricevere nuove istanze sconosciute alla fine degli anni ’40 del secolo scorso (la procreazione assistita, le famiglie di fatto, le unioni omosessuali, e via discorrendo).

La seconda indicazione fornita dal Presidente è quella dei principi che sempre e comunque devono regolare l’agere governativo e politico in generale e ancor di più quando si verificano alcune limitazioni alle libertà: necessità, proporzionalità, ragionevolezza, bilanciamento e temporaneità.

Poste queste basi si può procedere all’analisi delle disposizioni che vengono in rilievo in questo momento e con riferimento ai DPCM. Come noto, l’art. 13 Cost. definisce “inviolabile” la libertà personale, che può essere limitata solo nei casi e nei modi previsti dalla legge e per atto motivato dell’autorità giurisdizionale. Non v’è alcun dubbio che ad oggi la nostra libertà sia parzialmente limitata, ma, anche se può sembrare strano, questo articolo non rileva nella situazione odierna. La tutela della libertà personale è data dalle due riserve, di legge (assoluta) e di giurisdizione; ebbene, è impensabile, ed infatti non è accaduto, che ognuno di noi sia stato destinatario di un provvedimento di un giudice che ci abbia costretti in casa. Non è in gioco una libertà intesa in senso individuale, bensì in senso collettivo.

Ben più rispondente è il richiamo all’art. 16 Cost., che disciplina la libertà di circolazione, “salvo limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza”. I decreti che si sono susseguiti (e di cui trovate l’analisi qui), se riflettiamo, hanno limitato i nostri spostamenti, non tanto la nostra libertà personale che, nel rispetto del distanziamento sociale, può esprimersi incondizionatamente. Ebbene, l’art. 16 Cost. pone una riserva di legge rinforzata laddove stabilisce che le limitazioni alla circolazione devono essere stabilite, appunto, con legge e solo per motivi di sanità o di sicurezza (e l’emergenza sanitaria lo è).

Il punto è: possono i DPCM limitare la libertà di circolazione? La domanda, che spesso si sente, è fuorviante e mal posta. In senso assoluto, l’ovvia risposta, decisamente semplicistica, è “no”. Fermarsi qui, però, è insufficiente. Come abbiamo visto nella prima parte, i DPCM prendono le mosse da un decreto legge, il n. 19/20, che pone esso stesso la limitazione della libertà di circolazione e prevede le conseguenti sanzioni (per lo più di tipo amministrativo, per un’analisi si rinvia a questo articolo). I DPCM si muovono in attuazione dei decreti legge che, a loro volta, hanno valore e forza di legge e quindi possono limitare la libertà di circolazione ai sensi dell’art. 16 Cost.

La tenuta costituzionale di questo complesso sistema si regge, però, su un solo dato: la portata della riserva di legge dell’art. 16 già più volte citato. Se, infatti, la riserva è da ritenere assoluta, l’unica fonte che può intervenire è la legge, unitamente agli atti ad essa equiparati. Se, al contrario, la riserva è relativa, alla legge (o ai decreti legislativi e decreti legge) è demandata solo la normativa generale, attuabile ed integrabile con fonti secondarie quali i regolamenti (tra cui rientrano i DPCM). Esiste un dibattito sul punto, anche se si fa preferire la seconda ipotesi: è la lettera della disposizioni ad aiutare, laddove le limitazioni devono essere disposte dalla legge “in generale” (lasciando così spazio, parrebbe, a normativa di dettaglio con fonti secondarie). Soccorre anche l’interpretazione sistematica, poichè il secondo comma dello stesso art. 16 (“ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge“) pone un’altra riserva di legge in termini assoluti e pertanto, laddove avessero voluto, i costituenti avrebbero utilizzato lo stesso lessico anche per il primo comma.

E’ quindi possibile tirare le fila del discorso. Da un punto di vista strettamente tecnico, il Governo si sta muovendo nell’alveo dei limiti e principi costituzionali. In particolare appaiono rispettati i dogmi di cui parla il Presidente Cartabia e che abbiamo elencato in apertura; soprattutto la temporaneità di queste misure emerge in maniera chiara, grazie al susseguirsi dei vari interventi e della loro scadenza predeterminata.

Da un punto di vista politico, invece, si possono segnalare pregi e difetti, ma non è questa la sede. Certo è che la Corte Costituzionale non risolverà mai il problema della legittimità dei DPCM semplicemente perché non può; il suo sindacato, infatti, può avere ad oggetto solo leggi o atti aventi forza e valore di legge e quindi non rientrano i decreti del Governo. E’ bene ricordarlo, in particolar modo a tutti coloro, e non sono pochi, che ritengono di poter dire la propria opinione basandosi solo sugli umori dell’opinione pubblica e senza approfondire la dottrina e la normativa di riferimento.

Avv. Andrea Severini